Il Nemico tra le Braccia delle Donne, ecco il bellissimo racconto di Maria Grazia Todesco

Maria Grazia Todesco, autrice assieme a Paola Giambellini del racconto “Un Arcobaleno Dentro una Scatola Bianca”, dopo aver visitato alcuni anni fa l’Istituto Malattie Rare “Mauro Baschirotto” si è fatta ispirare e ha scritto un bellissimo racconto dal titolo “Il Nemico tra le Braccia delle Donne”.

Il “nemico”, non solo di Maria Grazia ma di molte altre donne, si chiama Desmon.

In questo racconto / reportage Maria Grazia si immedesima in Enrica, una giornalista stanca di scrivere frivoli articoli di cronaca rosa. Per il suo primo servizio giornalistico più “concreto e utile a qualcuno” Enrica viene inviata in quello che definisce “un fiore all’occhiello per l’Italia”, ossia il centro per la ricerca “Mauro Baschirotto” di Vicenza.

E’ possibile leggere “Il Nemico tra le Braccia delle Donne” nella sua interezza qui di seguito. E’ altresi possibile scaricarlo in versione PDF.

Un Nemico Tra Le Braccia Delle Donne

Racconto di Maria Grazia Todesco

Nota dell’autore: Questo racconto é scaturito da una visita che ho fatto realmente alcuni anni fa all’Istituto B.I.R.D. Foundation Mauro Baschirotto, che opera a Costozza di Longare in provincia di Vicenza, dove donne straordinarie portano avanti una dura e nel contempo meravigliosa battaglia contro le malattie rare. Donne viste da una donna. Donne verso le quali va tutta la mia stima.



Aveva varcato quel cancello come giornalista inviata da una nota rivista.

Oltrepassandolo con un po’ di timore, quasi reverenziale per un luogo così importante, aveva riflettuto su quanto il suo caporedattore pochi giorni prima le aveva detto: – Vai e fai un buon lavoro, ho scoperto che quel Centro di ricerca sulle malattie rare che c’è nel Veneto in provincia di Vicenza è un fiore all’occhiello per l’Italia.

Di quel Centro ne aveva sentito parlare pure lei in precedenza da una sua cara amica, che aveva avuto un familiare colpito da una di quelle terribili malattie che hanno il potere di porre fine ad una esistenza umana.

Nella sua immaginazione si era prospettata un ambiente triste, grigio, serio, dove il sorriso non potesse essere di casa.

Grande invece fu la sua sorpresa quando ad accoglierla venne una bella donna sui sessant’anni, dal sorriso gioviale e contagioso, che dispensava serenità e ottimismo.

-Entri pure, prego! Piacere di conoscerla, sono la dottoressa Brignani. Le farò da guida nella visita al nostro Centro di ricerca.

La dottoressa le aveva fatto visitare stanza per stanza tutto l’ampio fabbricato che prevedeva degli ambulatori dove i pazienti provenienti da tutta Italia, e anche dall’estero, venivano visitati e seguiti nel percorso della loro malattia.

Successivamente l’aveva accompagnata nel day hospital e in quella che veniva chiamata “la casa dell’ospite”, dove i pazienti che venivano da lontano e necessitavano di visite ripetute e prolungate, potevano trovare alloggio assieme ai loro accompagnatori.

Ad un certo punto la dottoressa Brignani le aveva detto:- E adesso la porterò in visita nel cuore pulsante del nostro Centro, i laboratori di ricerca scientifica.

Per Enrica era il primo servizio giornalistico che non trattasse di cronaca rosa.

Per anni era stata addetta a quest’ultima, poi si era stancata di rincorrere le varie stelline, attrici e uomini palestrati per frugare nelle loro vite sentimentali e familiari. Era arrivata ad un certo punto di saturazione, tanto che il suo lavoro e il suo tempo le sembravano sprecati, quasi inutili. Sentiva la voglia di qualcosa di diverso, più concreto e utile a qualcuno.

Aveva escluso un suo ritorno alla cronaca nera. L’aveva fatta agli inizi della sua carriera, quando fresca di laurea tutto le era andato bene, pur di iniziare a lavorare nel campo del giornalismo.

Adesso a quasi quarant’anni sentiva il bisogno di lavorare a favore di una giusta causa, così quell’occasione di scrivere un articolo su un centro di ricerca scientifica non voleva lasciarsela scappare. La giornalista Enrica Bosisi era fatta per le sfide, non c’era che dire!

La dottoressa Brignani successivamente l’aveva portata a visitare quelle stanze che maggiormente Enrica desiderava scoprire e conoscere. Erano i laboratori dove venivano studiate le cause che scatenavano le malattie rare, e dove si tentava di trovare l’antidoto per contrastarle e magari eliminarle del tutto.

Chissà perché, aveva pensato di trovare solo dei tecnici uomini, curvi sui loro microscopi vetrini e provette varie.

Grande fu la sua sorpresa quando entrando nei laboratori si era accorta che invece, curve sui microscopi vi erano solo donne e per la maggioranza molto giovani.

Erano delle biologhe, ricercatrici, tutte in camice bianco, che alzando gli occhi dai loro vetrini o dai microscopi la salutavano con un “buongiorno e benvenuta tra di noi”.

Già, (pensava tra sé e sé) benvenuta nel covo di quel nemico che tutti temevano: le forme tumorali rare.

Con il suo sorriso contagioso la dottoressa Brignani le aveva detto:- Adesso la lascio in compagnia delle mie care dottoresse. Loro, meglio di me le parleranno del delicato lavoro che svolgono tutti i giorni in questi laboratori.

Luisa, o meglio la dottoressa Luisa Colnaghi, la capogruppo di quel manipolo di coraggiose donne, dopo averle fatto vedere gran parte della strumentazione e dei macchinari di ricerca, aveva voluto soffermarsi sulle motivazioni che avevano spinto quelle giovani donne a scegliere quel campo. Tutto ciò anche per rispondere alla precisa domanda di Enrica:-Perché dedicarsi alla ricerca scientifica?

Oh, non certo per i soldi, sa? Piuttosto ognuna di noi é stata spinta ad una scelta lavorativa del genere per conoscere e scoprire un mondo che per certi versi tanto è affascinante quanto terribile. Altre di noi per seguire l’impulso interiore di essere d’aiuto verso il prossimo e la società.

Poi, alcune di noi, non glielo nascondo, è stata spinta sulla via della ricerca dopo aver avuto nella propria famiglia un caso tumorale di malattia rara. Ad esempio come la nostra cara dottoressa Brignani, che ha perduto un figlio ancora adolescente proprio a causa di una malattia rara, e che assieme al marito, il professor Sartor, ha voluto fortemente la nascita di questo Centro conosciuto in tutto il mondo.

Enrica era rimasta senza parole.

Chi l’avrebbe mai detto che dietro il sorriso contagioso e solare della dottoressa Brignani si celava il dolore di una madre privata del proprio giovane figlio? Si era ripromessa che più tardi, al momento di congedarsi da lei l’avrebbe abbracciata, da mamma a mamma, visto che adesso che era madre pure lei poteva tentare di immaginare tutto quello che quella donna aveva dovuto affrontare.

Per terminare il suo servizio non le rimaneva che visitare la “stanza azzurra”, come veniva chiamata in gergo dagli addetti ai lavori.

Stando dalla soglia della porta poteva vedere dei macchinari che avevano la parvenza di culle termiche illuminate da lampade azzurrognole a raggi ultravioletti. Dentro di essi c’era il più vasto e temibile campionario di ceppi di cellule impazzite che causavano le malattie che si andavano a studiare.

Provò un brivido freddo percorrerle tutto il corpo. Le parve di varcare uno spazio spaventoso, dove un nemico invisibile e in agguato sembrava scrutarla. Con un filo di voce disse: – La ringrazio, ma non serve che entri. Da qui posso vedere e rendermi conto di tutto.

La dottoressa Colnaghi capendo il suo disagio le rispose con un:- Eh sì, in effetti è una stanza che incute un certo timore se pensiamo agli effetti devastanti che queste cellule devianti hanno sull’organismo umano quando lo attaccano.

Poi guardando Enrica, come a voler sdrammatizzare la situazione, le disse:- Ma ci siamo noi donne, non si preoccupi, che cerchiamo di contrastare il nemico, e giorno dopo giorno cerchiamo di rendergli la vita sempre più difficile! Lo studiamo attentamente, lo scrutiamo nei minimi dettagli e cerchiamo dove è possibile di trovare delle soluzioni adatte ad annientarlo.

In senso metaforico, lo prendiamo fra le nostre braccia per poi dargli il colpo finale a suon di modificazioni e formule chimiche, che tradotte in medicinali lo renderanno il più innocuo possibile.

Sentire parlare così, in quel modo quella ricercatrice le diede un senso di sollievo, e pensò che solo le donne potevano avere un approccio del genere verso le malattie.

Il pomeriggio ormai volgeva al termine, e con esso la sua visita a quel luogo così particolare. Non le rimaneva che salutare quelle meravigliose, forti, indomabili e tenaci donne che scrutavano un universo chiamato malattia.

Risalendo in auto e facendo ritorno verso la redazione aveva pensato a come impostare l’articolo. Lo voleva di effetto e corredato dalle fotografie che aveva scattato. Quelle donne che aveva incontrato decisamente lo meritavano.

MARIA GRAZIA TODESCO

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